“Alexa, come si dice bicchiere in francese?”
“Bicchiere, in francese, si dice verre”
“No, biciuaaaar”
Questa newsletter si chiama Vulnerabile e racconta - da genitore e prima ancora da persona - il rapporto con mio figlio.
Lui ha una malattia genetica rarissima che causa una disabilità psicomotoria grave. Fa tante cose che appaiono complesse, ma altre, più semplici, restano sfide enormi.
Vulnerabile esce di sabato, che è il nostro momento insieme. O almeno vorrei che lo fosse.
Questa conversazione è ormai familiare, soprattutto quando mio figlio ed io giochiamo a Easy English. Mescoliamo i cartoncini e, quando ne estraiamo uno, dobbiamo dire il nome dell'oggetto in inglese.
Da qualche mese, il gioco si è arricchito di un’interazione speciale: chiediamo ad Alexa la pronuncia inglese dell’oggetto rappresentato sulla carta, ma anche quella francese.
Nonostante mio figlio non abbia ancora una solida competenza linguistica e spesso fatichi a costruire frasi complete (ad esempio, “Per favore, posso avere un po’ di pane?” può richiedere uno sforzo notevole), ha sviluppato una straordinaria abilità nell’imitare i ritmi, le inflessioni e le strutture linguistiche. In particolare, riesce bene a riprodurre il francese: melodico, fluido, con sillabe simili e parole collegate tra loro.
È una forma di mimesi, in cui i termini si mescolano e si trasformano, ma l’intonazione francese è impeccabile. Biscotto diventa “biscutén”, bicchiere “biciuar”, spazzolino “spasulén”… se non si presta attenzione, sembra davvero che stia parlando francese.
Mi viene in mente che negli anni ‘90, quando seguivo con passione la scena musicale alternativa francese, ero molto preso da quei fermenti multiculturali e politici. Scoprii, oltre a Manu Chao e Les Nègresses Vertes, poi famosi, anche i Massilia Sound System, che, combinando reggae, dub e ska, recuperavano il dialetto provenzale. Il loro brano più famoso, “Parla Patois”, è un inno alle lingue locali, come simbolo di identità.
Patois è un termine che descrive varietà linguistiche non standard. Ed era proprio questo il cuore del loro messaggio: parlare patois non è solo una questione di lingua, ma di espressione personale, di orgoglio e appartenenza.
Per carriera: parla patois
E dins la dansa: parla patois
En amor, ragga: parla patois
E dins la filada tamben: parla patois
Per strada: parla patois
E nella danza: parla patois
In amore (reggae): parla patois
E nella vita quotidiana anche: parla patois
La canzone mi torna spesso in mente in questi casi e, adesso che ci penso, potrebbe piacergli quel mix di ritmo, frasi incomprensibili e orgoglio identitario. Un po’ come quando gioca con Alexa, imita le inflessioni, mescola le lingue e ne crea una propria: un modo di comunicare unico, ma universale, nella sua musicalità. Un patois.
Ci vediamo sabato prossimo.
Io direi che è pronto anche per il milanese!!
Bravò, Stefanò!
La giornata inizia bene, con questa newsletter e un buon petit café. O cafetèn, meglio.