Questo numero di Vulnerabile esce leggermente più tardi del solito.
La ragione è che ieri sono stato a cena con alcuni amici dei tempi dell’università. Tutti genitori e tutti con figli adolescenti o leggermente più grandi.
Ho quindi deciso, all’ultimo, di parlare delle considerazioni che sono scaturite dalla serata.
Questa newsletter si chiama Vulnerabile e racconta - da genitore e prima ancora da persona - il rapporto con mio figlio.
Lui ha una malattia genetica rarissima che causa una disabilità psicomotoria grave. Fa tante cose che appaiono complesse, ma altre, più semplici, restano sfide enormi.
Vulnerabile esce di sabato, che è il nostro momento insieme. O almeno vorrei che lo fosse.
Non vedevo alcuni di loro da anni, ma i dialoghi si sono riattivati velocemente, come se il tempo non fosse passato, con la voglia di capire e ascoltare che cosa fosse successo in vite che, per un periodo, si sono intrecciate e, per un altro, più lungo, sono proseguite in modo autonomo.
Nessun com’eravamo, nessuna lamentela sull’età che avanza, solo qualche accenno alla politica, comprensibile per un gruppo di persone che ha condiviso anche questo interesse e si ritrova, oggi, spaesato.
Abbiamo soprattutto parlato dei nostri figli. E ho compreso ancora meglio quanto, al di là dei modelli e delle competenze genitoriali, condividiamo.
Condividiamo, innanzitutto, la stanchezza emotiva. L’essere sollecitati costantemente e il dover fare delle scelte per i figli, spesso dovendo trovare una convergenza anche con i propri partner, è difficile. Ho parlato dei problemi nel cercare una scuola superiore che sia in grado non solo di accogliere mio figlio, ma soprattutto di aiutarlo a crescere, valorizzando le sue competenze. Sentire parlare, ieri, di come sostenere un ragazzo, alla ricerca di un supporto specialistico per la propria identità di genere, non mi è parso meno difficile.
Ci assomigliamo, poi, nella voglia che i nostri figli vengano visti, riconosciuti e non etichettati da un insieme di funzioni. Mi ha fatto immenso piacere notare come, in una cena di una decina di genitori, nessuno abbia menzionato il rendimento scolastico, ma soprattutto le relazioni con gli altri.
Mio figlio si prende costantemente il suo spazio. La prima cosa che fa incontrando una persona, anche se la conosce, è presentarsi. Per un periodo l’ha fatto con nomi differenti dal suo, spesso Gabriele o Davide: al di là delle risate e delle correzioni pedanti (“No, dai, di’ bene come ti chiami”), mi pare sempre di più un atto con una profonda riflessione sul proprio ruolo nel mondo e la volontà di essere riconosciuto.
La terza cosa che ci accomuna è la gestione del tempo. Non tanto il tempo dell’operatività, quello sequenziale delle giornate con gli impegni da incastrare. Insomma, non il chronos dei greci (ecco, così ho rispolverato anche qualcosa degli studi letterari). Ma la necessità di rallentare o, comunque, modulare tappe e ritmi per fare in modo che il proprio figlio acquisti e rafforzi la propria voce.
Inutile dire che non pensavo che la voce di mio figlio sarebbe stata, con gli occhi comuni, che ancora sono anche i miei, così imperfetta. Eppure riconosco, adesso con serenità, che è la sua voce e che ha tutta la forza per trovare una strada.
Restano, infine, mie le preoccupazioni su cosa potrà accadere quando mia moglie ed io non ci saremo più e su come preparare, negli anni, un’indipendenza di nostro figlio che non è scontata. Ma per il resto? Abbiamo tutti desideri, difficoltà e fragilità simili.
Penso che dentro ogni fatica condivisa possa nascere una gioia silenziosa.
Ci vediamo sabato prossimo.
La difficoltà di essere genitore mi sembra sempre l'equilibrio fra aiutare i figli a essere felici, non perdere la testa quando si vede che (ancora) non lo sono, e rinunciare alla presunzione di sapere come farceli arrivare... è sempre bello condividere questi pensieri con chi sta facendo la stessa fatica, simile ma ovviamente unica, quindi grazie anche stavolta!
Bellissima riflessione anche questo sabato! La cosa bella di cui devi esser felice è quella di aver trovato un gruppo di genitori che non guarda al tuo racconto con “pietismo” ma ti accoglie alla pari. Non perderli di vista!!!! 🥰