Cominciamo col dire che sono contento di essere tornato al lavoro.
Le mie vacanze sono iniziate il 20 dicembre e sono terminate questa settimana. Mi ero dato un obiettivo chiaro: riposare e fare sport. Invece, ho mangiato. E trascorso tanto tempo con la mia famiglia.
Ho messo su un paio di chili (forse tre), ma non importa. È stato un tempo prezioso, fatto di momenti belli e intensi, ma anche di un impegno emotivo che mi ha richiesto di essere presente al 100% per chi amo.
Così, quando questa settimana sono tornato al lavoro, mi sono sentito... sollevato.
Questa newsletter si chiama Vulnerabile e racconta - da genitore e prima ancora da persona - il rapporto con mio figlio.
Lui ha una malattia genetica rarissima che causa una disabilità psicomotoria grave. Fa tante cose che appaiono complesse, ma altre, più semplici, restano sfide enormi.
Vulnerabile esce di sabato, che è il nostro momento insieme. O almeno vorrei che lo fosse.
Il rientro mi stimola un numero di Vulnerabile un po’ brutale.
Ho, infatti, un pensiero che mi porto dietro dalla permanenza a Dynamo Camp di cui ho parlato nello scorso numero.
Rientrare per noi adulti significa riprendere ritmi di lavoro e di vita nei quali siamo in grado di essere efficaci e di trovare, spesso, una nostra realizzazione. Per realizzazione intendo la sensazione di avere un equilibrio tra desideri, valori e capacità. Il lavoro mi permette di incontrare persone stimolanti e di imparare ogni giorno, nonostante i problemi. Questa possibilità di crescita mi dà un senso di realizzazione personale, che spesso manca a chi affronta disabilità gravi.
Cosa accade a scuola
Le scuole non sono attrezzate per accogliere gli studenti con disabilità come dovrebbero.
La carenza di insegnanti di sostegno, ad esempio, è critica: per oltre 300mila studenti ci sono solo 205mila docenti, molti dei quali precari e non specializzati.
Immagino mio figlio, sempre iperattivo, durante una lezione. Probabilmente si alza, interagisce con gli altri, si muove e “fa casino”. Senza un insegnante di sostegno dal primo giorno, tutto diventa più difficile per lui e per la classe.
Questi problemi compromettono il diritto all’istruzione e aumentano il rischio di abbandono.
Oggi, noi abbiamo la preoccupazione di pensare al futuro scolastico, una volta terminate le medie, e ci arrabattiamo tra open day e scelte per le quali non ci sentiamo mai sufficientemente preparati.
Il mondo del lavoro è un’incognita ancora peggiore.
Il lavoro.
In Italia, solo un terzo delle persone con gravi disabilità (come mio figlio) riesce a lavorare, contro più della metà delle persone senza limitazioni.
La legge sul collocamento mirato impone alle aziende di assumere un certo numero di lavoratori con disabilità, proporzionato alle loro dimensioni: ad esempio, due per quelle con almeno 35 dipendenti. Le imprese, spesso, preferiscono pagare la sanzione che, in un anno, equivale circa al costo di uno stipendio.
La domanda brutale che mi pongo è: com’è possibile che sia più conveniente una multa simile che (almeno) tentare l’inserimento di una risorsa?
Per questo, tempo fa avevo iniziato a lavorare sull’idea (mai accantonata, ma non ancora sviluppata) di offrire alle aziende un servizio per migliorare l’integrazione lavorativa di persone con disabilità, partendo dai dipendenti senza limitazioni. Credo infatti che possiamo prendere consapevolezza del fatto che il confronto con la disabilità sia anche un’opportunità di evoluzione della dimensione culturale aziendale che può acquisire adattabilità, sensibilità all’innovazione, resilienza.
Tornando a noi
Sono convinto che l’inclusione sia permettere a tutti di partecipare in modo attivo alla vita sociale, economica e culturale.
Al momento, nel concreto, non sono troppo certo del percorso scolastico che farà mio figlio dopo le medie. Posso sognare un futuro professionale? Non lo so. Sogno un futuro di integrazione e realizzazione? Certamente sì.
Dall’andamento dei primi giorni di scuola, però, ho capito che anche lui è contento del suo rientro. E questo mi rende felice.
Ci sentiamo sabato prossimo.
Penso che fai bene a sognare e parlare di queste realtà. Ritengo che più se ne discute, più aumenteranno le probabilità di soluzioni di integrazione. Sono ottimista che il vostro impegno di famiglia sarà ripagato.
Piacere di conoscerti Davide, ho anche io un figlio disabile grave alle medie e sono nella tua medesima situazione. Nel mio caso si tratta di autismo su cui qualche modello di inserimento lavorativo è presente (a parte il più noto PizzAut) ti riporto per es. Specialisterne e Auticon se vuoi dare un’occhiata al modus operandi. Purtroppo il tema di fondo è che, al netto degli interessi assorbenti che ha, non sono ancora stata in grado di identificare una propensione e su questo (sull’orientamento) non ho trovato ancora competenze specifiche che possano supportare le famiglie se non il progetto Astuta Ability su cui magari mi informerò meglio per il futuro. Come famiglia, noi abbiamo scelto di tornare in Puglia (dopo molti anni in Lombardia ed Emilia Romagna) per provare a comprendere se una strada lavorativa nel mondo della accoglienza turistica possa essere la sua strada. Anche qui ti riporto un esempio di Bologna di ragazzi con sindrome di down (Via delle Idee). Grazie per questa newsletter, a sabato prossimo