Tra poche ore mio figlio ed io abbiamo un appuntamento con l’arte.
Alle 11:15, con un gruppo di genitori e ragazzi con disabilità, andremo a Palazzo Reale, a Milano, a vedere la mostra “Picasso lo straniero”.
La mostra esplora, attraverso 90 opere e numerosi documenti, le sfide affrontate da Picasso come immigrato a Parigi nel 1900, offrendo una prospettiva sulla sua vita e l’arte.
Questa newsletter si chiama Vulnerabile e racconta - da genitore e prima ancora da persona - il rapporto con mio figlio.
Lui ha una malattia genetica rarissima che causa una disabilità psicomotoria grave. Fa tante cose che appaiono complesse, ma altre, più semplici, restano sfide enormi.
Vulnerabile esce di sabato, che è il nostro momento insieme. O almeno vorrei che lo fosse.
Quando Picasso arrivò a Parigi, giovane e spagnolo, si sentì straniero. Quella distanza dagli altri, però, lo spinse a creare: l’arte divenne il suo modo di trovare un senso e un posto nel mondo.
A me Picasso piace. Ha trasformato la propria apparente debolezza in potenza creativa, ridefinendo i confini delle discipline per sentirsi meno “straniero”.
La Vie (1903), dipinto durante il famoso periodo blu, presenta un momento di importante introspezione famigliare. Il quadro mostra una coppia di amanti abbracciati, con l’uomo apatico e la donna stanca, simbolo di un amore che porta con sé la responsabilità e il sacrificio. L’assenza di gioia riflette la visione di Picasso sulla difficoltà della vita familiare e dell’amore che non sempre porta felicità.
Fortunatamente non è così la mia vita. Non sempre almeno.
La mia vita è soprattutto un tentativo di inseguimento. Specialmente nei musei, che in genere mio figlio ed io amiamo tantissimo.
Quello che accade è che ci prepariamo già dalle ore prima.
“Ci vuole il biglietto?”; “Dopo che facciamo?”; “Andiamo col bus?”: c’è della tensione. La tensione della novità.
Quando entriamo, tuttavia, lui sembra perfettamente a suo agio. Io insisto affinché vada in bagno prima, così non ci dobbiamo pensare visitando le sale. Lui insiste per prendere tutte le mappe e le brochure disponibili. Io cerco di tenere il punto focalizzandoci solo su quelle che veramente ci servono.
Appena entriamo è la velocità. Quasi la corsa.
Inizia ad accelerare il passo e attraversare tutte le sale. Io lo inseguo. Spesso cerco di fermarlo per farlo concentrare su una cosa. Quando sono fortunato riesco a mostrargli un’opera sulla mappa e invitarlo a cercarla. Il rischio è che tenti di avvicinarsi e toccarla. Ma è un rischio che corro per interrompere il ritmo del passo veloce.
Quando capisco di non essere fortunato lo assecondo. Camminiamo velocissimi. Spesso faccio un video che mando al gruppo “Big Family” su Whatsapp con una battuta. Terminato in pochi minuti il tracciato del museo, in genere ricominciamo da capo. E poi ancora. Nelle iterazioni quasi sempre riesco ad avere dei momenti che mi danno soddisfazione: spesso una foto, a volte una caccia al tesoro, la sorpresa di incontrare mia moglie e mia figlia che, al contrario, percorrono le sale con ritmi contemplativi.
Ci sono alcuni elementi che sempre catturano la sua attenzione: le opere con cui si può in qualche modo interagire (video, pulsanti, cuffie, ruote da girare), le mappe, che consentono di fingere una navigazione in ambienti sconosciuti, le persone, che come sempre interpella e con cui parla. Bigliettai, guardiani, visitatori, turisti stranieri.
Ed è proprio al museo che noi viviamo il fatto di essere stranieri, come Picasso a Parigi: fuori posto, ma con una certa gioia nel trovare il nostro ritmo. Tra passi veloci e mappe guardate al contrario, trasformiamo quella distanza in un modo unico – e molto caotico – di scoprire il mondo.
Ci vediamo sabato prossimo.
Ringraziamenti e aggiornamenti
Grazie molte alle persone che ogni settimana scrivono un commento sia su Substack sia, di frequente, direttamente a me. Ho avviato diverse conversazioni personali e ci è scappato qualche pranzo e caffè che mi hanno davvero fatto piacere.
Qui trovate un bel podcast che mi è stato segnalato, dopo il numero scorso, a proposito del patois parlato in Val d’Aosta.
E grazie anche per un paio di amarcord relativi ai Massilia Sound System, che evidentemente hanno fatto breccia in tanti cuori.
Infine, ho fatto sentire a mio figlio Parla Patois di cui parlavo la scorsa settimana, pensando gli potesse piacere. Non è stato così. Tant pis.
Davide, mi hai fatto sorridere , perché ho fatto una esperienza in un museo interattivo con Stefano quando era più piccolo ed è stata davvero una gran corsa nelle sale.
È un bambino che ti sorprende sempre e mi ha affibbiato il più bel soprannome di sempre, anche a Maurizio. E’ nel ns ❤️
Il prossima sabato ci dirai come è andata oggi...aspettiamo le foto anche noi lettori 😀. Buona visita!